Gender-Oncology

Gender e Oncologia: a che punto siamo? Parliamone!

Abbiamo fatto alcune domande sul tema del gender e dell’accesso alle cure alla Dr.ssa Gaia Giannone, oncologa e alla Dr.ssa Camilla Gesi, psichiatra. Ecco la loro visione, buona lettura!

 

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Dottoressa Camilla Gesi – Psichiatra
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Dottoressa Gaia Giannone – Oncologa

Le persone sono tutte uguali dinanzi al cancro? L’accesso alle cure è uguale per tutti i pazienti? O ci sono dei fattori che possono rendere l’accesso alle cure più difficile, tardivo o inadeguato anche nei nostri ambulatori?

 

Gaia Giannone: L’equità nell’accesso alle cure viene garantita a tutti i pazienti senza distinzione alcuna, almeno teoricamente. L’obiettivo che ci poniamo tutti come oncologi è di offrire sempre la miglior cura possibile. Questo deve valere per ogni paziente e garantire un ambiente inclusivo e sicuro. Purtroppo, però, la teoria non sempre rispecchia la pratica di tutti i giorni, basti pensare a fattori reputati spesso scontati. Tra questi il sesso e il genere (o gender, come sempre più spesso si sente dire). E a come questi influenzino il percorso di cura nei nostri ambulatori ogni giorno.

Mind-Gap-Gender

Innanzitutto, chiariamo bene, cosa si intende per “gender” e perché è diverso da “sex”?

 

Gaia Giannone: Bisogna fare attenzione alla definizione generalmente binaria di sesso. Esso è inteso come caratteristiche anatomiche e biologiche che identificano l’individuo come maschio o femmina. Altro è l’identità di genere. Infatti, il genere è socialmente costituito, fortemente influenzato dalla cultura di appartenenza non ha una definizione binaria. Inoltre, non viene assegnato alla nascita ma può variare nel tempo.

È noto che sia i fattori di rischio che quindi i bisogni terapeutici differiscano in base al sesso e al gender. Per questo oggi si parla molto di gender medicine. Si pensi ad esempio che l’ESMO, Scoietà Europea di oncologia ha nel 2018 dedicato un intero Workshop alla questione dal titolo Gender Medicine meets Oncology.

Con Gender medicine si intende approccio medico innovativo che tenga conto delle opportune differenze e ne valuti i riflessi su prevenzione, screening, diagnosi e trattamento. Mentre iniziamo ad avere molti dati sulle differenze in base al sesso ancora poche sono le informazioni circa le differenze di genere, soprattutto se si considerano le cosiddette minoranze sessuali e di gender (SGM), cioè lesbiche, gay, bisessuali, trans gender e intersex (LGBTI) (definizione della società americana di oncologia medica, ASCO).

Gender-Logo-KISS

“La Gender Oncology deve valutare le implicazioni delle differenze di genere su prevenzione, screening, diagnosi e trattamento”

 

Camilla Gesi: Aggiungerei che c’è molta confusione nell’attribuzione delle differenze fra uomini e donne a un determinante di sesso o di gender. Questo avviene anche in ambito scientifico e anche quando il sesso è per lo più corrispondente all’identità di genere. Faccio un esempio che riguarda il mio settore, la psichiatria:  le donne hanno tassi di depressione più alti degli uomini. Quando faccio questa affermazione dò conto di una differenza fra i due sessi.

Come interpretare questa differenza? In un’ottica “biologica” posso ipotizzare che siano implicati fattori ormonali, che fanno sì che le donne siano più suscettibili degli uomini alla depressione. In una prospettiva “di gender”, invece, devo riflettere sul fatto che sussistono altri fattori in gioco. Questi hanno a che fare col gender, cioè con l’ identità di genere che le donne abitualmente hanno e al ruolo che assumono riconoscendosi in quel genere.

“Faccio un esempio che riguarda il mio settore, la psichiatria…”

 

Per farla molto semplice: essere di sesso femminile (e riconoscersi nel genere femminile, assumendone i ruoli sociali), oggi, implica carichi di stress elevatissimi. In un momento storico in cui la transizione dal focolare domestico alla vita fuori casa non ha ancora trovato un punto di equilibrio e, soprattutto, in cui manca un punto d’incontro equo in tema di spartizione delle mansioni fra uomini e donne in situazioni di vita condivisa. Ne consegue che oggi molte donne lavorano come se non avessero una casa e dei figli. E gestiscono la casa e i figli come se non lavorassero.

Può essere solo questo il motivo che genera alti tassi di depressione? Forse no, probabilmente no, ma pensare solo agli ormoni è sicuramente riduttivo della complessità del problema. Altro esempio: l’ipertensione, problema classicamente “uomo”, al punto da aver fatto ritenere il sesso maschile costituzionalmente suscettibile. Molti studi, invece, hanno mostrato che laddove gli stili di vita delle donne si avvicinano a quelli più tradizionalmente maschili (lavorare fuori casa, consumare pasti fuori casa in pausa pranzo, fumare) i tassi di ipertensione delle donne tendono a pareggiare quelli maschili. Si rdimensionano notevolmente i fattori biologici alla base della patologia e si da nuovo risalto al fatto che, quando il ruolo si allontana dallo stereotipo di genere connesso ad un determinato sesso, le cose possono cambiare. E pure di molto.

“Essere di sesso femminile (e riconoscersi nel genere femminile, assumendone i ruoli sociali), oggi, implica carichi di stress elevatissimi, in un momento storico in cui la transizione dal focolare domestico alla vita fuori casa non ha ancora trovato un punto di equilibrio”

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Come l’appartenere a una gender minority può ridurre l’accesso alle cure?

 

Gaia Giannone: In molteplici modi. I pochi dati a nostra disposizione ci dicono che i soggetti appartenenti a questo gruppo ricevono delle diagnosi più tardive e reputano più spesso il percorso di cura insoddisfacente. Un dato importante, ad esempio, riguarda il ridotto accesso agli screening. Meno del 50% delle donne bisessuali eseguono regolari screening mammografici mentre gay e lesbiche ricevono meno pap-test rispetto alla controparte eterosessuale.

Il motivo del ridotto accesso alle procedure di screening è verosimilmente molteplice. Da un lato è relato al fatto che le campagne di sensibilizzazione spesso non tengono conto delle minoranze di genere. In controtendenza alle campagne tradizionali la fotografa Lisa White, in collaborazione con un’associazione australiana impegnata nello screening del carcinoma della mammella, ha realizzato il progetto fotografico «Beautiful LGBTI Women», che scatta foto di donne di ogni etnia e genere, come testimonial di uno screening appunto inclusivo.

Qui segnaliamo un interessante link al progetto Beautiful LGBTI Women

 

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Inoltre, gli stessi medici a volte sono poco propositivi nei confronti delle persone appartenenti a minoranze di genere. Questo in quanto poco informati sull’effettivo rischio e su quali siano le misure preventive in queste popolazioni. In ultimo, l’accesso alle cure è ritardato dai pazienti stessi quando percepiscono un ambiente discriminatorio. Lo stesso accade se non si sentono a loro agio nel dichiarare il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere.

Camilla Gesi: Anche le donne, sono da considerarsi, nei fatti, una minoranza anche se non lo sono in termini numerici. Ma la predominanza demografica è apparentemente ancora l’unica forma di supremazia che il sesso femminile può vantare. Anche per loro i percorsi di cura possono essere incredibilmente accidentati. Senza contare che le donne, soprattutto nel periodo centrale della vita, trascurano la loro salute e rimandano le occasioni di prevenzione, strozzate dall’essere in prima linea su troppi fronti. Ma anche quando arrivano all’attenzione medica, può capitare che i loro sintomi siano presi in minor considerazione. Ci sono studi che mostrano che le donne soffrono di ritardi diagnostici significativi rispetto alle controparti maschili in ragione del fatto di essere considerate estremamente emotive e molto suscettibili a patologie depressivo-ansiose. Per questo i loro sintomi vengono spesso “derubricati” a “psichici” quando invece sono espressione di una patologia somatica incipiente, magari anche grave.

Come si pone il personale sanitario nei confronti di questi pazienti?

 

Camilla Gesi: Il personale sanitario fa sicuramente del suo meglio, ma è poco formato e poco consapevole. Se chiediamo a qualunque medico se il suo atteggiamento clinico è diverso in base al sesso o al genere della persona che ha davanti, è molto probabile che ci dica di no. Il che è espressione più di un buon proposito (comunque apprezzabile) che della realtà.

Tutti noi abbiamo dei bias cognitivi, cioè degli errori nascosti, delle convinzioni inconsapevoli, che si traducono in azione, continuamente, qualunque cosa facciamo. E’ normale, non addossiamo la croce su nessuno per questo, ma dobbiamo esserne consapevoli. Dobbiamo essere consapevoli che gli stereotipi culturali e di genere che abbiamo in mente ci portano più spesso a considerare psichici i sintomi di una donna e non quelli di un uomo. In modo simile ad offrire antidolorifici ad un soggetto caucasico con più facilità rispetto ad un paziente afroamericano o ad evitare di chiedere ad un omosessuale se una terapia gli causa effetti collaterali di tipo sessuale. Saperlo, e non negarlo, è già un buon traguardo ed è fattibile.

“Tutti noi abbiamo dei bias cognitivi. Saperlo, e non negarlo, è già un buon traguardo ed è fattibile.”

 

Gaia Giannone: Ciò accade verosimilmente perché vi è un gap formativo. Ad oggi, la maggior parte di noi non si sente adeguatamente preparata per gestire questi pazienti nel migliore dei modi. Una survey, che ha coinvolto circa 150 oncologi americani, suggeriva che meno di un terzo di loro reputava di avere una conoscenza adeguata dei loro bisogni ma più del 70% riteneva importante e in alcuni casi necessario implementare questo aspetto nel percorso formativo di un oncologo. Basti pensare che in media solo cinque ore di insegnamento sono dedicate a quest’argomento nelle Università Americane e che alcuni dei medici intervistati non aveva ben chiaro quali fossero i fattori di rischio e gli screening da proporre.

Gli stereotipi culturali e di gender che abbiamo in mente ci portano più spesso a considerare psichici i sintomi di una donna e non quelli di un uomo

 

Come possiamo creare un ambiente migliore per tutti i nostri pazienti?

 

Gaia Giannone: La Società Americana di Oncologia Medica (ASCO) ha proposto una serie di strategie per ridurre e si spera annullare le disparità relate al genere e al sesso. In primis, ovviamente di educare e supportare il paziente. Ciò si traduce nel creare un ambiente che incoraggi il paziente a parlare della sua identità di genere senza paura di essere discriminato. In questo modo si favorisce l’accesso a servizi di supporto che siano culturalmente competenti ed inclusivi e creare dei percorsi di follow-up personalizzati per coloro che sono guariti. Ovviamente, è fondamentale anche favorire la consapevolezza tramite iniziative comunitarie di tipo educazionale.

“Creare un ambiente che incoraggi il paziente a parlare della sua identità di genere senza paura”

 

Inoltre, è necessario educare non solo noi oncologi ma tutto il personale sanitario, di modo da renderlo preparato nella gestione di tutti i pazienti, incorporare un training sulle diseguaglianze di genere nel curriculum formativo dei medici con appositi esami e percorsi formativi e garantire che l’ambiente medico stesso non sia discriminatorio verso lo staff appartenente a una SGM.

Fondamentale è che lo stato stesso protegga tutti i pazienti con policy contro la discriminazione e che garantiscano l’accesso ai trattamenti premiando i centri culturalmente competenti e inclusivi. In ultimo, ma non meno importante, un grosso scoglio per garantire una terapia adeguata deriva dalla scarsità di dati in questo gruppo di pazienti.

Si può migliorare innanzitutto inserendo i dati riguardanti il sesso e il genere all’interno dei database e degli studi clinici ma anche favorendo gli studi che coinvolgano i pazienti appartenenti a minoranze di genere. Inoltre, bisognerebbe creare delle situazioni intellettualmente stimolanti per discuterne assieme, all’ interno di apposite sessioni nei convegni internazionali, con l’obiettivo ultimo che la prossima generazione di ricercatori abbia consapevolezza che l’uguaglianza di genere non è ancora realtà ma un traguardo perseguibile.

Camilla Gesi: Bisognerebbe anche che tutti avessero interesse al problema. Personalmente noto con un certo scoramento che quando un convegno ha il guizzo di inserire una sessione sul genere, il panel dei relatori, totalmente in controtendenza rispetto a tutte le altre sessioni, diventa un gineceo, un ghetto di donne che parlano alle donne dei problemi delle donne. Ma questa non è medicina di genere e dovremmo pretendere di più. Gli uomini, dovrebbero pretendere di più: la medicina di genere non è la medicina delle donne (o di qualsiasi altra minoranza di genere) e li riguarda. E’ un tema trasversale, che percorre tutte le branche della medicina, dalla clinica alla ricerca, e fa breccia nella nostra vita, nella cultura di cui siamo intrisi. Dovrebbe suscitare l’interesse di tutti, uomini e donne, come un problema clinico e scientifico di bruciante attualità.

Cosa si può fare già da domani nei centri di cura oncologici?

 

Sicuramente un primo approccio potrebbe essere discutere sistematicamente l’identità di genere e l’orientamento sessuale. In termini pratici questo potrebbe avvenire registrandolo specificamente in cartella per tutti i pazienti. Ciò creerebbe le basi per un dialogo più aperto sui bisogni e sulle attese del paziente stesso. Laddove necessario permetterebbe di personalizzare la terapia, gestire al meglio il follow-up, fornire il supporto necessario e ridurre i fattori di rischio. Un errore che spesso facciamo è proprio ritenere che il rispetto per ogni paziente si traduca nell’approcciarci a ognuno di loro nel medesimo modo. Dovremmo invece imparare, come ci suggerisce il Prof.Keuroghlian, direttore del National LGBTQIA+ Health Education Center, che ogni persona è unica e va trattata in un modo assolutamente personalizzato. La chiave è riuscire a conoscere i nostri pazienti in quanto persone e come tali, con tutte le loro infinite differenze e peculiarità.

Trovi qui il link ad alcune pubblicazioni interessanti:

Segnaliamo qui di seguito alcuni riferimenti e relativi Link utili

Organization Website
Centers for Disease Control and Prevention https://www.cdc.gov/hiv/clinicians/transforming-health/health-care-clinicians/additional-resources.html#Protocols
National LGBT Cancer Network https://cancer-network.org/
American Cancer Society https://www.cancer.org/content/dam/cancer-org/cancer-control/en/booklets-flyers/lgbtq-people-with- cancer-fact-sheet.pdf
Essential Access Health http://www.essentialaccess.org/sites/default/files/Providing-Inclusive-Care-for-LGBTQ-Patients.pdf
The Fenway Institute https://fenwayhealth.org/
GLMA: Health Professionals Advancing LGBTQ Equality http://www.glma.org/
Human Rights Campaign https://www.hrc.org/explore/topic/health-and-aging
UCSF Center for Transgender Excellence https://transcare.ucsf.edu/
WPATH https://www.wpath.org/
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